
Mentre una parte della storiografia sostiene la necessità di “decostruire” i miti nazionali di cui avevano fatto ampio uso sia il regime comunista sia gli storici del dissenso, i suoi detrattori si abbandonano dunque alla realizzazione del patriottismo acritico, dei miti nazionali, degli stereotipi.
Durante la campagna elettorale del 2005, il futuro primo ministro ha accusato i suoi avversari di essere negazionisti della memoria storica, ha promesso una rottura radicale con il passato e la nascita di uno stato nuovo, ripulito dai resti del comunismo e del post-comunismo. Una volta al governo del paese ha dichiarato una vera guerra alla storia, lustrandola delle parti non confacenti alla visione nazional cattolica del suo partito e dei suoi alleati. Il ministro dell’Istruzione ha bandito dai programmi scolastici alcuni grandi scrittori polacchi o di origine polacca – come Witold Gombrowicz, Joseph Conrad e Bruno Schulz – e stranieri come Franz Kafka e Fëdor Dostoevskij, in quanto detrattori dello spirito nazionale e dei valori cristiani che ne sono alla base. Questo uso politico della storia attraverso la selezione dei dati e la semplificazione ha anche un aspetto internazionale dovuto all’idea che l’immagine della Polonia è oggetto di distorsioni anche all’estero. Per corregerla sarebbe necessaria, sempre secondo il governo e i partiti che lo sostengono, una grande azione diplomatica che illustri agli europei i servigi che la Polonia ha reso all’Europa: l’Europa è libera grazie alla nascita di Solidarnosc e la caduta del muro di Berlino ne è stata la conseguenza.
Pian piano la storia selettiva è divenuta pensiero dominante. I nuovi progetti di ricerca (figli, da sempre, dell’orientamento politico) ricreano il mito dei polacchi vittime ed eroi: durante la seconda guerra mondiale – quando nonostante il terrore nazista salvarono migliaia di ebrei – e sotto il comunismo quando si opposero unanimi al regime. Parallelamente viene portata avanti la pulizia storica che, nella primavera del 2007, ha riguardato i combattenti della brigata internazionale che erano schierati dalla parte della Repubblica durante la guerra civile spagnola. Uno storico dell’IPN, ha sostenuto la decisione del governo di cancellare i nomi degli appartenenti alla brigata Dobrowski dalla tomba del Milite ignoto a Varsavia, perché erano soldati di Stalin.
Diventa facile a questo punto comprendere la decisione dello scorso anno dell’IPN di pubblicare nomi e fotografie di tutti i membri dello staff di Auschwitz – Birkenau, più di ottomila persone, alcune delle quali ancora vive, tutte tedesche. Oppure la volontà espressa due anni fa di rimuovere trecento monumenti nazionali eretti in omaggio alla liberazione del paese da parte dell’Armata Rossa. E si contestualizza meglio la legge che obbliga polacchi e stranieri a non dire più che i polacchi si sono macchiati di crimini contro l’umanità. E angoscia la notizia che apprendiamo in queste ore, di minacce a una guida turistica italiana che lavora presso il museo del campo di sterminio di Auschwitz. Vogliono solo guide polacche ad Auschwitz.
È una deriva. Ma sta succedendo in una nazione europea, in un generale silenzio e soprattutto senza che si faccia il collegamento con una situazione occidentale che può dare la stura a posizioni ufficiali, statali, di imposizione di una coscienza collettiva selettiva, priva di oggettività, priva del rispetto della coscienza individuale e dell’opinione personale. Una semplificazione della complessità del reale di alto livello, di propaganda, di regime. Quella che senza un sguardo accorto, libero e consapevole può attaccare ciascuno di noi nelle nostre valutazioni, nella formazione del nostro pensiero e nel dialogo che neghiamo agli altri.
Francesco Moriconi
Per seguire il resto dell’approfondimento:
What do you think?